lunedì 14 dicembre 2015

Io mi commuovo fortissimo.

In uno dei suoi libri bellissimi dal titolo “Che cos’è un bambino”, Beatrice Alemagna scrive “I bambini piangono forte, per farsi sentire bene”.
E ha ragione.

I bambini piangono con i pugni serrati, con la gabbia toracica spalancata e i sentimenti che scappano via da tutte le parti. Le lacrime piovono a dirotto e noi lasciamo che ci inzuppino la faccia: da loro non cerchiamo mai riparo.

Anche adesso che ho cinque anni e mezzo e sto per diventare una sorellona maggiore con certe responsabilità, io piango forte e chiaro.
E non solo quando mi faccio male o quando sono arrabbiata, piango in grande anche quando sono triste per un personaggio dei film o dei cartoni animati, per quella cosa che la mamma dice si chiama empatia e tutto questo vuol dire “commuoversi”.

Ecco, io mi commuovo fortissimo.

Come ieri ad esempio, quando stavamo guardando Big Hero 6 e io l’avevo capito che Baymax non ce l’avrebbe fatta ed era una gran fregatura perché tutti i cartoni dovrebbero avere un lieto fine e lo so che Hiro dopo lo ricostruisce, ma non è la stessa cosa. 
Così mi sono commossa con tutta la voce che avevo in corpo e mi sono commossa per una buona mezz’ora.
E anche la Ragazza si è commossa, si capisce, ma lei si commuove sempre in silenzio, poi scoppia a ridere, come a vergognarsi di quelle lacrime.
Ma secondo me c’è poco da ridere, commuoversi è una cosa seria.

E per fortuna ieri eravamo a casa e non al cinema, perché io nelle sale do il meglio di me.
Al cinema piango tutte, tutte le volte.
È che in ogni storia arriva sempre il momento in cui il buono deve affrontare il cattivo e le immagini diventano veloci e confuse, e sono così grandi e i suoni così alti e prepotenti che mi entrano da tutte le parti e tutte queste immagini e suoni e sentimenti ci stanno troppo stretti in un corpo così piccolo e da qualche parte devono pur uscire, allora io li sciolgo in grossissime lacrime e li butto fuori urlando, con la gente che si strozza con i popcorn e tutti che si girano verso di noi.
Mia madre allora fa strane smorfie per minimizzare, cercando di tranquillizzare i curiosi “non è niente, adesso passa, è solo il momento clou”.

Allora io mi chiedo quando arriva quell’età.
Quando arriva quel momento in cui il pianto perde la voce.
Che avrebbe tanto da dire e invece sta zitto.

Quando compare il termine “sommessamente” e le lacrime cominciano a scendere afone e impercettibili, scacciate via sul nascere con un gesto. 
Un gesto da poco, come a dire “non è niente, adesso passa, è solo il momento clou”.

Illustrazione di Beatrice Alemagna "Che cos'è un bambino".

giovedì 31 luglio 2014

Su, gioca tu col Cosoball.



Qui è dove vi spiego perché il CosoBall andava bene negli anni '80 e adesso invece no.

Qualche giorno fa sono andata a fare la spesa con mia madre e, siccome sono una bambina tendenzialmente brava (al massimo ti chiedo di comprare broccoli, cipolle e aglio), il regalino se l'è preso lei. 
Ovviamente spacciandolo per un bellissimo presente per me.

E' successo che eravamo alle casse e all'improvviso si è illuminata, come se avesse incontrato un amico che non vedeva dalle elementari.
E invece era lui, il Cosoball.

- Noooo, non ci credo! Ali, questo è un gioco bellissimo di quando la mamma era piccola! Prendiamolo: vedrai che ti piacerà un sacco.

Certo. 
Un cilindretto azzurro con accanto un tubetto come di pasta d'acciughe, però rosso. 
Come no.

In macchina le era venuta una strana allegria e per tutto il tragitto fino a casa non smetteva di cantare "Con Cosoball ci puoi giocare - Cosoball - e tante cose da inventare - Cosoball - ci puoi far robe divertenti - Cosoball - mille colori differenti, su gioca un po' con Cosoball!" ovviamente facendomi l'occhiolino dallo specchietto retrovisore.

Una volta a casa e sistemata la spesa in frigo, abbiamo aperto il tubetto delle meraviglie. No, non se lo ricordava così colloso. E appiccicoso. E denso. No.

Dopo essere riuscita a metterne un po' sul cilindretto, ha soffiato. La cosa allora si è gonfiata, rivelando una consistenza estremamente delicata. 
Ne è risultata una specie di fagiolo informe, pieno di venature, praticamente un rene.

Me lo ha consegnato tutta soddisfatta e ha provato a soffiare altre ball. 
Sono venuti fuori un cuore (intendo proprio il muscolo) e un fegato.

Mentre giocavamo senza troppa convinzione con i nostri organi interni, ho capito che quella puzza attanagliante, quell'odore chimico, proveniva proprio dal Cosoball. 

- Mamma, ma questo coso puzza.
- Ma no amore, è il suo odore caratteristico!


Ecco, chiariamoci. 
Questo "odore caratteristico" andava bene per voi, bambini degli anni '80, che vi sniffavate i Paciocchini (che sapevano davvero di culo di bambino) o gli Exogini, per voi, che vi sballavate con la Coccoina, che quando giocavate con il Didò profumavate di pseudomelaverde per settimane. Adesso il Didò non profuma più, un motivo ci sarà, no?
E il succo Billy, come mai non c'è più negli scaffali, secondo voi?

Dopo due passaggi, le palle di Cosoball si sono afflosciate come la mia voglia di giocarci e mi sono ritrovata in mano una roba puzzolente e piena di bollicine.

- Mamma, a me sto gioco non piace.

 E niente, archiviato il Cosoball.

Che poi adesso è tornato anche il Tamagochi. Pensate che appeal può avere un cuccioloso ammasso di pixel per noi bambini del primo decennio del nuovo millennio, abituati a giocare con l'iPad ancor prima di cominciare a gattonare!

Ma io sono convinta che il Tamagochi spopolerà, acquistato in massa da tutti i genitori che vogliono vedere se stavolta, dopo 20 anni, riusciranno a farlo campare.

Io che gioco con un fegato.


martedì 24 giugno 2014

Faccio finta di niente, ma io ci penso spesso.

Faccio finta di niente, ma io ci penso spesso.
A quella storia del fratellino che è andato in cielo.
Insieme a Baddy, ai nonni dei miei, alla zia di Giuly.
Sarà mica un po' troppo affollato 'sto cielo?

Faccio finta di niente, ma ci penso spesso.
E controllo la pancia della mamma. 
Se è un po' più tonda, se è un po' più piatta. 
E poggio l'orecchio per sentire se è vuota o magari piena.
Tanto la mamma non se ne accorge.
Io l'ho sempre adorata e accarezzata e coccolata e baciata e venerata quella pancia.
Sarà un richiamo atavico, sarà che lì ha avuto origine quello che sono.

Faccio finta di niente, ma ci penso spesso.
Perché ho capito che forse, prima o poi, se il papà mette di nuovo il semino nella pancia della mamma - attraverso una strana magia o un percorso impervio circa il quale, per il momento, di più non è dato sapere - insomma dicevo, se il papà mette di nuovo il semino nella pancia della mamma, il semino potrebbe diventare un fratellino.
Un fratellino che nascerà, come ci insegna una cara e saggia amica, se e solo se starà bene per tutti e 9 i mesi.

E io che pensavo che nascere fosse la cosa più naturale del mondo, a 4 anni suonati ho scoperto che è una faccenda complicata, un percorso lastricato di imprevisti, che si traducono troppo spesso in poco soddisfacenti "è successo e basta".

Allora caro fratellino, o sorellina, anche se adesso sei solo un pensiero, io ti chiedo di impegnarti tanto, di impegnarti forte, perché venire al mondo è complicato, è vero, ma io sono quaggiù che ti aspetto.


A TUTTI VOI CHE LEGGETE:
Lo so che mi volete tutti bene e che mi abbraccereste fortissimo, ma noi qui stiamo bene e siamo sereni, davvero!

martedì 13 maggio 2014

Piccoli razzismi di famiglia.

È il momento della nanna. La Ragazza finisce di leggermi una fiaba in rima.

- ... Come nella pigna i fratelli pinoli. 
   Buona notte amore, dormi bene.

- Mamma?
- Sì?
- Ma...Pinóli?
- Come?
- Pinóli?
- Beh, mi è venuto un po' alla pugliese, che c'è di male?
- PAPÀÀÀ?
- Cosa c'è? (urla dall'altra stanza).
- Vieni! La mamma ha detto "Pinóli"!
Arriva l'altro componente del comitato "Prendiamo per il culo la terrona".
- Come ha detto? Pinóli? Bwuahahahahahaha!
- Beh, ma io ci tengo a mantenere le mie inflessioni, il mio dialetto, le mie tradizioni.
Ghignate malcelate in sottofondo.
- Perché quando dice "Cammicia"? Uahhahahahaha!
- No ma parlate pure di me come se non ci fossi!
- E "Pòllo"? O "Ròsso"?
E giù a ridere fino alle lacrime.



mercoledì 7 maggio 2014

Quella volta che ho nascosto lo stracchino.

Mi è presa una strana mania.
Nascondo le cose.
Ultimamente in ogni angolo o anfratto della nostra casa si possono trovare piccoli tesori: mollettine, caramelle, giocattoli.
Sono diventata come una gazza ladra, un cagnolino con il suo osso.
Ma non nascondo solo oggetti che mi appartengono: mi diverto anche a far perdere le tracce di biglietti, bollette, scarpe e... gli occhiali della Ragazza. Basta spostarli di poco per vederla girare per tutta casa come una talpa.
Io mi nascondo e rido sotto i baffi, facendo finta di niente.

L'altra sera però l'avevo fatta grossa e non ho saputo mantenere il segreto.
Dopo cena, finito di sparecchiare, stavamo tutti per goderci il nostro momento di giochi, coccole e ralax, quando ho iniziato a saltellare sfoderando un ghigno degno dello Stregatto.

- Alice, cos'è quella faccia?
- Niente, hji!
- Ali, cosa hai fatto?
- Niente, hji!
- Alice su, dicci cosa hai combinato.
- Ho nascosto lo stracchino!
- Cosa?
- Sì, ho nascosto lo stracchino.
- Lo stracchino? Ma dove?
- Qui!

E non ho potuto fare a meno di svelare subito il mio segreto!
Lo avevo chiuso in un Tupperware e messo dentro altri Tupperware che mia madre conserva uno dentro l'altro come matriosche.

Non lo avrebbero trovato mai.

Se la ridarola non mi avesse colpito, si sarebbero prospettate scene esilaranti.

- Ma cos'è questa puzza?
- Non lo so, ho appena lavato tutto il frigorifero.
- Sì, ma c'è puzza.
- Lo so, ma non capisco da dove viene.

La prossima volta non sarò così ingenua. Secondo voi, dopo qualche settimana, di che colore può diventare uno stracchino?

Segue risata malefica: Bwuahahahahahah!







giovedì 3 aprile 2014

E adesso la pubblicità.

Questo non è un post sponsorizzato, ma contiene link a spot pubblicitari, dalle cui aziende non ho percepito un euro (e ci mancherebbe!)

Di padre art director e madre copywriter, avrei dovuto avere i geni immuni al potere seduttivo e propagandistico della pubblicità, e invece. 

Invece niente, la pubblicità mi ammalia, mi attira, mi ossessiona un po' anche.

Di giorno vado alla carica al grido ACTIMELLIZZATI!  e la sera, al momento di andare a dormire, mi concentro con l'obiettivo di "sognare fortissimo", il solo modo per entrare nel magico mondo dei Pan di Stelle, che sono, appunto, pandistellosissimi. 
Io tra l'altro voglio solo i biscotti originali, con la confezione marroncacao, ché una volta la Ragazza ha comprato quelli farlocchi nella busta gialla e ho piantato su un casino perché avevano 9 stelline invece di 11.

I miei mi ripetono continuamente che la pubblicità è fatta apposta per spingerti a comprare certe cose e che non bisogna avere necessariamente tutto quello che la pubblicità propone.
Sì, ma allora come fa la nostra casa a essere pulita e igienizzata senza l'Amuchina? 
E come muoiono i germi e i batteri dei miei vestiti se non li lavi con il Napisan?
E come faccio a crescere sana e forte senza il formaggino Mio che contiene calcio e proteine del latte importanti per la crescita e lo sviluppo delle ossa? Eh, come faccio?

Visto che in casa mia l'espressione "Mi compri?" non è benaccetta, ho provato a sostituirla con il "Posso avere?" e così:
"Posso avere le scarpine Lelli Kelly  con le lucine e i lacci magici? Ti regalano anche la fascia che si illumina!" E vedo in mia madre un brivido di ripugnanza.

"Posso avere la Coca Cola Zero cha sa di Coca Cola ma ha zero zucchero?" E vedo in mio padre uno sguardo allibito, dato che la Coca Cola stessa mi viene concessa solo in alcuni rari casi e annaffiata da abbondante acqua.

I miei cercano sempre di arginare le mie richieste e quando c'è la pubblicità cambiano canale, anche perché hanno avuto la percezione netta della mia dipendenza da spot quella volta in cui, dopo la reclame della Mentadent ho chiesto, tra il preoccupato e lo speranzoso: "Ma io, posso avere denti sani?"

venerdì 21 febbraio 2014

La definizione di destino.


Passeggiando con la Ragazza, canticchio la sigla di Peter Pan.



- Si dice "destino".

- Destino? E che cos'è il destino?

- Eh, che cos'è il destino?

- Boh, io non lo so.

- Che cos'è il destino. Il destino è la storia personale di ognuno di noi. 
(In gioventù deve aver letto Coelho).

Prosegue.
- E' quella combinazione di scelte, eventi, caso, fortuna, che ci fa arrivare dove siamo. 
Puoi decidere tu se sia più di una questione di scelte, più di caso o di fortuna.

- …

- Ad esempio. Il mio destino mi ha portata a lavorare a Sassuolo, conoscere e innamorarmi di tuo padre, avere una bimba bella come te. 

- È un po' come decidere cosa fare da grande.

- Sì, una specie, perché il destino spesso siamo noi a crearcelo.

- Beh, allora nel mio destino, quando sarò grande, voglio bere caffè e liquore, masticare chewing-gum, sposarmi con te e papà ma con il velo, fare l'artista e la pescatrice di polipi.

- Certo amore, del proprio destino ognuno è l'artefice.



- Ah, e voglio essere mamma.


giovedì 6 febbraio 2014

Giovedì gnocca? Ma proprio no.

Il giovedì pomeriggio la Ragazza non prende appuntamenti e non risponde al telefono.
Il giovedì pomeriggio è una scritta blu nell'agendina.
Il giovedì pomeriggio si va in piscina, io e lei.

Faccio il corso di nuoto, io, ma siccome sono nella fascia 1, quella dei Girini, deve accompagnarmi lei. In acqua con me. 
Il giovedì per me è il giorno più bello di tutti.

La mia mamma prepara con cura il borsone e poi, una volta nello spogliatoio, non trova più niente, neanche la sua cuffia. Così deve indossarne una che le sta un po' stretta e che le occlude completamente il condotto uditivo. Per tornare a sentire i suoni del mondo esterno, spinge le orecchie fuori dai bordi di silicone, e questo la fa somigliare a Cucciolo dei Sette Nani, con il berretto di 4 taglie in meno.


La Ragazza prima dell'inizio del corso di nuoto


Quando il corso è ormai iniziato da 5 minuti entriamo in vasca e posso cominciare i miei esercizi.
Lei, per unire l'utile al dilettevole, cerca di stendere le gambe e battere un po' i piedi (in 50 cm di acqua), ma secondo me, invece che farle passare la cellulite, questo movimento le farà venire le vene varicose, visto che l'acqua raggiunge i 30°.

Il vapore inoltre non giova alla sua capigliatura, che inizia a gonfiarsi sotto la cuffia, tra gli sguardi stupiti degli astanti.

La piscina mi piace proprio, mi fa bene: alla fine della lezione sono vispa e carica a molla. Lei un po' meno: l'acqua calda le fa scendere la pressione sotto i piedi, si trascina verso lo spogliatoio togliendosi la cuffia e svelando, con uno SWAP, un cespo di capelli che neanche Telespalla Bob. 
La guardo meglio: Mamma che hai? Sei tutta sporca di nero qui sotto.
Anche stavolta si è dimenticata di struccarsi. Sembra Courtney Love quando proprio dava il meglio di sé.

Passano le altre mamme, ancora truccate impeccabilmente e con i capelli a posto, e la salutano un po' imbarazzate.

Il giovedì pomeriggio mia madre non prende appuntamenti e non risponde al telefono.
E' troppo impegnata a perdere il suo sex appeal, che io vedo dolcemente naufragare in 'sta piscina.


La Ragazza al termine del corso di nuoto.


martedì 4 febbraio 2014

Il deodorante accusatore

In casa nostra, da qualche giorno, c'è una nuova, inquietante presenza.
Se ne sta lì, muto e immobile, a studiare tutti i nostri movimenti. Ci spia.
Appena qualcuno di noi entra nel suo raggio d'azione, ....FUUZH..., lui gli spara addosso una secrezione nauseabonda.
No, non abbiamo adottato una puzzola (adesso saremmo tutti in galera per bracconaggio e detenzione illecita di animali selvatici), è solo che mia madre ha comprato un deodorante per ambienti con sensore di movimento. Intelligente eh, troppo intelligente.

Troneggia sulla mensola del bagno con il suo occhio accusatore e lampeggiante e, appena rileva la tua presenza, ...FUUZH..., ti spruzza. Anche nel cuore della notte, nel silenzio più assoluto, quando vieni svegliato da un impellente bisogno, e a malavoglia raggiungi il bagno in punta di piedi per non fare rumore, lui ...FUUZH... ti spruzza, provocandoti un principio di infarto. 

Il suo spruzzare profumo è un vile atto d'accusa, un dito puntato contro, un processo alle intenzioni che lui conclude con la sua condanna olfattiva, senza che tu possa scagionarti.
E se sei andato in bagno per lavarti le mani, per fare il servizio grosso, per pettinarti, o per una doccia, lui se ne frega, spara la sua condanna al muschio bianco e fiori di loto, facendoti sentire un puzzone.

Oramai ci aggiriamo nei pressi del bagno come Atreyu al cospetto della Porta delle Sfingi, entrando pian pianino per poi fuggire a razzo, facendoci sottili, facendoci trasparenti, ma il suo occhio è più veloce, ...FUUZH..., ti spruzza.
E meno male che è solo profumo e, per questa volta, non siamo ridotti in polvere.

Mamma, ma tornare ad aprire la finestra, noo?



Io mentre attraverso la porta del bagno.



venerdì 31 gennaio 2014

Liberiamo una ricetta: La torta di pane, amaretti e cioccolata. #liberericette

Buongiorno!
Come l'anno scorso, voglio partecipare anche io a questa iniziativa che unifica i blog in un solo, unanime grido: RICETTE LIBERE!!

Nella passata edizione ho liberato una ricetta di puro fango fondente al 100%, un gioco da bambini in realtà, ma quest'anno sono grande, e visto che spaciugare in cucina mi piace da matti, questa volta libero una ricetta vera!


Restiamo in tema di dolci.

Ed ecco a voi, tramandataci dall'amica Elisa di Lucio, La Torta di Pane, Amaretti e Cioccolata, ché solo a pronunciarne il nome mette fame (oltre a svelare la metà degli ingredienti!)

Pronti?

Ecco gli ingredienti.

200 gr di amaretti
200 gr di zucchero
200 gr di pan grattato
250 ml di panna liquida
3 uova
200 gr di cioccolato in scaglie

1 bustina di lievito

Sassolino q.b. (o 1 bicchierino di rum)

Cominciamo!


Sbriciolate gli amaretti in una ciotola e, se il dolce non è destinato ai bambini, bagnateli con il Sassolino o con il rum (gli amaretti, non i bambini). E' poco probabile che il pupo si ubriachi con una fettina, ma potrebbe rifiutarsi di assaggiarla se la torta profuma più di alcol che di cioccolata (a me è capitato!)

A questo punto unite agli amaretti sbriciolati il cioccolato e il pan grattato.
Montate gli albumi a neve ferma e teneteli da parte.

In un'altra terrina, montate i tuorli e lo zucchero e accorpateli al composto di pane, amaretti e cioccolata. Aggiungete la panna liquida, il lievito e per ultimi gli albumi.
Infornare seguendo i capricci del vostro forno, perché si sa che ogni forno c'ha le sue bizze e fa come gli pare!


Consigli...


Per non far scurire troppo la parte superiore dei dolci, a metà cottura la Ragazza ci posa sopra un foglio di carta da forno. Funziona!

Ripetete con me: per sapere se la torta è cotta a puntino vale sempre la tecnica dello stecchino.


Una cosa importante.


Questa festa culinaria in rete non è solo divertente, è anche buona, in tutti i sensi.

Chi lo desidera infatti, può devolvere l'equivalente di quanto speso per il piatto al Centro Astalli di Roma. In questo modo si potrà inviare virtualmente una fetta di torta o un piatto delle vostre ricette preferite a chi è dovuto fuggire dal suo paese.
Trovate tutte le informazioni qui ma anche qui.



E adesso, Buon appetito!


"Le storie sono per chi le ascolta, le ricette per chi le mangia. Questa ricetta la regalo a chi legge. Non è di mia proprietà, è solo parte della mia quotidianità: per questo la 

lascio liberamente andare per il web."







giovedì 30 gennaio 2014

Di amicizie nate da blog e di blog nati da amicizie.

Alle tastiere, la Ragazza.

Ciao a tutti, carissime personcine che leggete questo blog. Oggi scrivo io perché vorrei condividere un pensiero, anzi due, e dedicare questo post a due amiche.

L'amicizia nata da un blog.

Alice.
E' del segno dei gemelli.
E' mancina.
Quando è arrabbiata e le chiedono il perché strilla: Non sono per niente felice!

Francesca.
E' del segno dei gemelli.
E' mancina.
Quando è arrabbiata e le chiedono perché risponde: Ognuno ha il suo motivo

Forse è perché ha tante cose in comune con mia figlia, forse perché su Facebook scrive post sempre avvelenati e appuntiti (come il suo naso!), ma poi quando le parli scopri una ragazza dolce e facile alla risata, forse perché ha una scrittura bella, che ti coinvolge, forse per tutte queste cose insieme, Francesca mi piace.

Così, dato che abitiamo nella stessa città, ci siamo viste qualche volta per andare al GGD, o a presentazioni di libri, come ieri. E ogni volta scopriamo di avere un mucchio di cose da dirci, e le serate volano leggere sul filo delle parole.

Insomma, Francesca è una di quelle persone che, grattando grattando la superficie, le scopri ancor più ricche di quel che pensavi, e questo progetto condotto da lei, che si chiama semplicemente Uomini, ne è l'esempio. Che ne dite, ho ragione?

Il bello delle amicizie nate sul web è che non ti capitano, te le scegli tu.
E questo è il pensiero (banale) numero 1.

Il blog nato da un'amicizia.


Lei si chiama Silvia ed è una mia amica. Non di quelle d'infanzia, ma di quelle vere, questo sì.
Ci conosciamo che non è tantissimo, ma tantissimo ha sempre fatto per me, come venire ogni giorno, con la pioggia e con il vento a bussare al mio convent  ehm, alla porta della mia stanza d'ospedale, quando ero ricoverata. E non sono cose da poco, eh?!

La nostra amicizia è nata offline, ma online si è rafforzata, visto che spesso trascorriamo le ore a Whatsapparci come due tredicenni.

I post di Silvia su Facebook e le sue foto su Instagram hanno la capacità di raccontarti storie. Così, accompagnata da altre sue amiche, le ho messo una fastidiosissima pulce nell'orecchio: la pulce del blog!

E da questa pulce è nato lui, Il diario dei Gombi, e voi avrete il privilegio di leggere il primissimissimo post. Lo so che di blog ce ne sono migliaia, ma sono sicura che lei saprà conquistarvi. E poi, cosa c'è di più bello dell'entusiasmo dell'inizio? Profuma di emozione, paura, adrenalina!

E io sono emozionata e felicissima, mi sento un demiurgo, una doula, vabé non esageriamo, un'ostetrica, perché oh, sarà pure merito mio (ok, ragazze, nostro) se sto blog è appena nato!!

Allora faccio un immenso in bocca al lupo alla mia amica: Go Sissi Go!!

E il secondo pensiero banale del post, qual è?
Boh? Sono troppo felice per ricordarmelo.

E poi, non vi bastano tutte le banalità che scrivo?

Leggete loro piuttosto, e non ve ne pentirete!

Il blog di Francesca, che probabilmente conoscete già.

Il blog di Silvia, aka MrsGombs, che imparerete a conoscere. 







venerdì 24 gennaio 2014

Il Dottor Cuoricino


E così, una sera, è successo che mi è tremato il cuore.

Sul lettino, mentre il papà mi leggeva la favola della buonanotte, ho avvertito un dondolio, o forse un capitombolo. Mi sono fermata un attimo e ho detto al mio papà: “mi è dondolato il cuore”.

Il papà lo ha detto alla mamma, che lo ha detto alla zia, che lo ha detto alla nonna, che lo ha detto al nonno, che lo ha detto al pediatra, che lo ha detto al dottore, che lo ha detto al cardiologo.

E così, dopo qualche giorno, mi sono trovata in sala d’attesa per elettrocardiogramma e ecocardiogramma. Roba che, se avessi detto di aver mal di testa, mi avrebbero portata a fare una risonanza magnetica.

E dunque, eccomi lì, ad aspettare il Dottor Cuoricino.
Visto che la volta scorsa, al Dottor Ditino mancava effettivamente un pezzo di ditino (se non avete letto questo post, fatelo), ho sperato che al Dottor Cuoricino non mancasse un ventricolo* e che ce lo avesse tutto intero il cuore. E bello grande.

Quando siamo entrati, il dottor Cuoricino mi è sembrato un tipo a posto.
Con la massima dolcezza mi ha fatto alcune domande a cui non sapevo rispondere.
Hai sentito un saltello? Oppure era più un tremolio? O un galoppo? Era fuori sulla pelle, oppure dentro al corpicino?

E che ne so dottore, avrei voluto rispondere, io neanche me lo ricordo come mi è tremato il cuore.

(Adesso ero solo capace di immaginarmi il mio cuoricino con il mantello e la spada che correva su Furia il cavallo del west).

Guardavo il dottore senza rispondere.

Allora lui ha messo del gel trasparente su un arnese piccolo piccolo e me lo ha premuto sul petto. Ed eccolo lì il mio cuore! Una macchia nera che si muoveva come un animaletto, si muoveva ritmicamente, come ballasse.
E batteva, batteva forte.

Il cuoricino di Alice sta bene, ha detto il dottore, quello che ha sentito la bimba, forse non lo sapremo mai.

Così sono tornata a casa, e a mio padre ho potuto mostrare un intero book di foto del mio cuore. E anche del suo battito.

Il cuoricino di Alice sta bene, ha detto il dottore, quello che ha sentito la bimba, forse non lo sapremo mai.
E poi, il Dottor Cuoricino mi ha fatto l’occhietto.


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